venerdì 7 settembre 2012

Vorrei ma non posso.


Succede, o come dicono alcuni amici: lo fanno.

È anche vero che certe sere potresti startene su un divano a guardare il TV, ad avercelo il TV (dirlo al maschile è molto anni 80).

Vabbè, invece, pur di vedere una cara amica che ha la tipica tendenza romana a tirarsela oltremodo senza alcun motivo basato su motivazioni oggettive, esco e vado con lei, a un Finissage. (questo post è per te)

 

Allora, ricordo ancora, quando circa sei mesi fa cercavo su Wikipedia il significato di Vernissage.
Mi avevano invitato tante volte ai vernissage, ma pensando fosse una cosa troppo all’avanguardia per me (roba da studio 54 per intenderci) ho sempre declinato l’invito.
Poi l’anno scorso compiuti i 31 anni mi sono detta che avevo l’età giusta per i vernissage.
Primo obiettivo capire cosa fossero, su questo Wikipedia è stata un po’ vaga.

 Ma un Finissage cazzo, non me lo potevo perdere.
Cioè come puoi non andare ad un Finissage della mostra Re-generation  al Macro Future– ex mattatoio con performance di musica elettronica?
Cioè c’è tutto quello di cui si ha bisogno per una vera, reale, sana, serata SUPERRADICALCHIC.
E così è stato, c’erano gli hypster, quelle vestite anni 50, lesbiche, pochi gay come al solito, quelli col cappelletto, i riccetti che fanno impazzire il mondo, gli artistoidi, attori, stilisti… vabbè che ve lo dico a fa? La crème de la crème, e poi ovviamente noi.

 Non farò paragoni, non dirò che ho pensato a questo evento organizzato a Berlino o Madrid… non lo dirò, no.

 Non c’era da bere – salvo delle casse di Menabrea – sponsor ufficiale, dentro dei barili neri pieni di ghiaccio, per terra al buio, (stile festa dei 100 giorni? Avete presente?), che venivano offerte gratis. Il che mi va pure bene, carina come cosa, molto friendly – ma se la birra me fa gonfià la pancia e io per l’occasione ho messo un tubino nero che mi ci hanno sparato dentro, che faccio?

Non bevi, che  poi è pure meglio visto che non c’erano i secchi dove buttarle, e quindi sei obbligato a trattare uno spazio ex industriale recuperato in maniera meravigliosa, come una qualunque pattumiera, neanche differenziata.

 Non cera da sedersi, l’acustica era tremenda, e faceva caldo – questo si che è vorrei ma non posso.

Io sono italiana, mi lamento per la busta paga, per il cappuccino che ti ho chiesto tiepido e tu mi hai fatto caldo, per la signora che non fa la fila in posta, per il commesso scortese e dico pure che queste cose in Europa non esistono, qualunquismo allo stato puro.

Però ieri lo spazio era eccezionale, la musica non era male, la Menabrea è buona, la compagnia pure.

 

1 commento:

  1. Errata Corrige: le bottiglie di menabrea calda erano proposte in delle scatole di cartone abbandonate sul selciato stile pacchi lanciati da un canadair dell'ONU sul deserto.Una volta finite quelle poche bottiglie nel secchione nero col ghiaccio, bisognava prenderle dal cartone e lasciarle qualche minuto nel ghiaccio, perdendo un arto oppure rischiando che qualche sciacallo, complice il buio, se ne appropriasse indebitamente...ehhhh notti romane, quante emozioni!Grazie per il post Allegriaaaa!!!

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